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Santuari à répit
 

Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à répit. Il rito del «ritorno alla vita» o «doppia morte» nei santuari alpini. Prefazione di Annibale Salsa. Priuli e Verlucca, 2009

I luoghi del rèpit in diocesi di Novara sono: Gelata di Soriso, Tomba di S. Giuliano a Gozzano, Santuario del Boden, Madonna della Neve a Borca di Macugnaga, Madonna di Re, Madonna della Neve a Suno, Parrocchiali di Rima e Rimella, Altare dell’Incoronata nella Parrocchiale di Varallo Sesia.
La prefazione è di Annibale Salsa, Presidente generale del CAI.

Dalla seconda e quarta di copertina

«Un tempo la morte di un bambino era frequente ed elaborata dalla mentalità del passato. Ma il decesso prima del battesimo condannava il piccolo defunto al limbo, spazio dell’Aldilà mai veramente accetto dai fedeli. Non era concessa a queste creature neppure la sepoltura in terra consacrata. Interrati in luoghi incolti, lungo i fiumi, fra le rocce dei monti, il loro spirito, secondo le leggende, vagava in cerca di pace e tornava a tormentare i viventi.
Il desiderio di dare ai propri figli la salvezza dell’anima è all’origine del rito e dei santuari del “ritorno alla vita”, che gli studiosi francesi hanno chiamato “à rèpit” del respiro, e altri della “doppia morte” o della “morte sospesa”. 
In questi loca sancta compassionevoli cortei portavano i piccoli che non avevano visto la luce, o avevano chiuso gli occhi nei primi istanti di una vita di cui non avrebbero percorso il dipanarsi dei giorni. Non c’era stato il tempo per battezzarli, l’acqua lustrale del primo sacramento non aveva “lavato” il peccato originale e la loro anima, pur senza colpe personali, era destinata a un spazio liminale, ai bordi dei luoghi dell’Aldilà, dove non avrebbero soffertole le pene infernali, ma la privazione della vista di Dio, e alla fine dei tempi sarebbero stati destinati all’inferno.
I santuari del ritorno alla vita sono piuttosto rari in Italia, ma le Alpi occidentali ne annoverano diversi, dedicati alla Madonna e ad alcuni santi. Sono frequentemente localizzati in luoghi appartati, su alture, in vallette, nei boschi, ma anche in zone collinari, sovente avvolti in silenzi scanditi solo dal rumore dell’acqua: tramandano intatto, pur con differenti manifestazioni devozionali, il loro spirito.
Davanti alla santa immagine che “abitava” il luogo si posava, con infinita speranza, il piccolo morto e, fra preghiere e promesse, si imploravano i celesti protettori perché ottenessero da Dio un “miracolo di tenerezza”, che attuasse il rovesciamento di una situazione, permettendo al bambino di tornare in vita, soltanto “il tempo di un respiro”. Breve istante fra morte e morte, sufficiente per entrare nella luce dei beati.»


«Il limbo, luogo senza luce e senza speranza, attendeva un tempo i bambini morti prima di essere battezzati. Per strapparli a questo amaro destino i genitori portavano i piccoli defunti alle chiese del rèpit, dove si implorava una breve resurrezione finalizzata al battesimo: morte e vita s’intrecciavano così in questi santuari sovente segnati da sacralità antiche.»

 


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